lunedì 4 marzo 2013

Tra il profilo e le parole. (arte al femminile IX parte)

Negli studi scolastici di storia dell'arte si incontrano sovente i ritratti e questi vengono percepiti, almeno i Italia, con la naturalezza del "sempre esistito"
Questa affermazione ha bisogno di un surplus di precisazione.
Il ritratto, pur non essendo necessariamente realistico in tutto, presuppone da parte dell'artista una conoscenza visiva diretta  della persona ritratta inoltre, più di una ricerca di reale oggettività, i ritratti assolvono alla funzione celebrativa o evocativa.
E' importante sapere anche che il ritratto diviene genere pittorico diffuso solo nel Rinascimento, quando l'attenzione dell'uomo il suo bisogno di rappresentazione  si sposta dal cielo allo specchio. 
Piero della Francesca, Battista Sforza, 1472,
part. dal Dittico degli Uffizi
L'uso del ritratto ha due specificità: rendere presente, attraverso un'immagine chi non c'è (perchè è morto o lontano) o dare legittimità e grandezza a chi lo ostenta.
Due esempi piuttosto noti sono i ritratti  di Battista Sforza di Piero della Francesca (1472) e Giovanna Tornabuoni di Domenico Ghirlandaio (1489)


Immediatamente cogliamo analogie e differenze tra queste due giovani donne: il rigido profilo, la moda comune che imponeva la pelle bianca, capelli biondi, la pettinatura sviluppata sui lati del volto, abiti più o meno semplici ma con l'uso di stoffe ricche e raffinate, gioielli, espressione impassibile. 


Battista, della quale ho già scritto (qui), apparteneva all'ordine laico delle terziarie francescane e ha un abito semplice, nero e rigoroso, sebbene la manica in broccato e i gioielli esprimano la sua condizione di ricchezza e di  raffinatezza che il ruolo di duchessa le impone.
(in realtà il titolo di duchi di Urbino risale al 1474, quindi dopo la sua morte, ma la conoscenza di Federico come duca è talmente diffusa che mi permetto questa approssimazione)
Il suo ritratto è a mezzo busto e si staglia su un paesaggio dai valore celebrativo e simbolico.
La presenza nel dittico degli Uffizi della figlia di Alessandro Sforza era fondamentale per dimostrare l'accettazione, da parte della più importante aristocrazia, del controverso Federico da Montefeltro. Questo si era conquistato il ducato a furia di campagne di guerra in cui eccelleva: era ben diverso rispetto all'ereditare un titolo e un ducato. Federico ha sempre davanti a sè questa situazione di svantaggio e in tutti i modi tenta di superarla, ostentando ed esagerando nel manifestare tutti quegli status che appartenevano alla nobiltà: cultura antica, il mecenatismo, la ricchezza, la cura per lo studio, ... Così non è interessato alla modernità, ma, al contrario, vuole essere antico, tradizionale, usa un linguaggio simbolico ben attestato e sicuro mette nel ritratto tutto quello che può, esagera ...



D. Ghirlandaio, part. dalla Visitazione, 1486-90
La bellissima Giovanna Tornabuoni è ripresa con un taglio più moderno -fino alla vita- grazie al quale si ammira l'abito ricco e raffinatissimo.


La modernità del taglio è in contrasto con la posa di rigido profilo e fa pensare ad una volontà di ostentare il linguaggio colto esclusivo come è quello dell'arte classica appannaggio delle famiglie aristocratiche come quelle dei Medici e dei Tornabuoni
L'abito è quello "importante" che definisce Giovanna nel suo censo e status di prima grandezza al quale aspira come famiglia alleata ai Medici. Probabilmente è l'abito del matrimonio e lo troviamo anche nella cappella Tornabuoni, in Santa Maria Novella, nella scena della Visitazione


Giovanna indossa i due capi base della nobildonna fiorentina: la gamurra e la giornea. 
La gamurra (chiamata anche camurra, camora, cotta o zupa) una veste stretta, a vita alta, lunga fino ai piedi, allacciata davanti con laccetti e tagli sulle maniche. La veste era in stoffa molto raffinata decorata con fiorellini bianchi, su fondo rosso, inseriti in rombi  che paiono fatti di nastro di raso applicato.
D. Ghirlandaio, Giovanna Tornabuoni, 1489-90.
Le maniche, unite con laccetti allo scollo della spalla, sono caratterizzate da tagli. Da questi e dalla scollatura sul davanti escono piccoli sbuffi della preziosa camicia intima di tessuto molto fine. Ma anche questi sbuffi sono misurati, eleganti, appena accennati, legati da piccoli legacci.


Sopra alla gamurra Giovanna indossa una preziosa giornea -una sopravveste senza maniche usata per uscire di casa- di broccato, aperta interamente sui fianchi così da mostrare il contrasto gamurra-giornea di tessuti e colori differenti. Infatti normalmente la giornea è di tessuto più pesante ed ha la chiara funzione di conferire riconoscibilità dal censo di chi la porta.
I gioielli di Giovanna sono pochi: indossa un pendaglio legato con un semplice laccio e, appoggiata al suo fianco, c'è una spilla molto simile. Ha poi due anelli nelle dita.
(La riflettografia ha rivelato che in un primo momento Giovanna portava un girocollo di perle.)
L'ambizione dei Tornabuoni non è sufficiente per sollevarli dal rigore delle leggi suntuarie, che limitavano anche ai nobili l'ostentazione eccessiva dei beni di lusso, creando una distinzioni tra questi e i governanti. Pochi gioielli, ma di valore, come ci rivela la grandezza di perle e rubini. 
Estremamente moderna e misurata anche la morbida acconciatura che si gioca sul contrasto di liscio e riccio, di sciolto e raccolto, per dare un aspetto curato ed esclusivo ma anche addolcire l'ovale del volto. Questa moda che caratterizza la pettinatura delle nobili fiorentine della fine del Quattrocento ci appare oggi molto più dolce rispetto a quella di Battista che prevedeva la depilazione dei capelli alla sommità del capo per alzare la fronte. Tuttavia l'artifizio dell'acconciatura è evidente anche in Giovanna che utilizza capelli finti per aumentale il volume e la lunghezza della crocchia riproducendo lo stesso volume della originale cuffia arricciata sui capelli della duchessa d'Urbino.

Particolarmente elegante è "l'effetto cammeo" del profilo di Giovanna sul grigio e nero dell'interno di uno stipo: proprio questo particolare mi pare sia quello che relega la dimensione sociale di Giovanna alla propria dimora, in contrasto alla importanza di Battista che doveva essere moglie e madre esemplare per una intero ducato. Infatti dietro a lei un paesaggio si estende a perdita d'occhio come la fama delle sue virtù muliebri, che sono ben declamate nel verso della tavola nella rappresentazione del Trionfo: sul carro trainato dagli unicorni (simboli della castità) Battista Sforza è accompagnata dalle Virtù teologali (Cede con il calice, seduta di fronte; carità con il pellicano vestita di nero, si allude all'invisibile speranza) e, ancora, dalla Modestia e Castità in piedi al fianco della duchessa.
P. della Francesca,Trionfo di Battista,
 1472,  part. dal Dittico degli Uffizi
In basso, come se fosse un'iscrizione nell'attico degli archi di trionfo romani, scritta in capitale romana, QVE MODVM REBVS TENVIT SECVNDIS CONIVGIS MAGNI DECORATA RERVM LAVDE GESTARVM VOLITAT PER ORA CVNCTA VIRORVM" (Colei che mantenne la moderazione nelle circostanze favorevoli vola su tutte le bocche degli uomini adorna della lode per le gesta del grande marito).
Gli stessi concetti di religiosità, cultura, fedeltà sono legati agli oggetti contenuti nello stipo dietro al profilo di Giovanna. I grani del rosario richiamano la fede nella risurrezione (corallo) e la pratica della preghiera (corona del rosario) ripresa anche dal Libro d'ore. Le perle dei due gioielli sono l'emblema della donna casta, fedele al marito. Infine il foglio scritto in capitale romana ci riporta una sentenza tratta da un epigramma di Marziale "ARS VTINAM MORES ANIMVMQUE EFFINGERE POSSES PVLCHRIOR IN TERRIS NVLLA TABELLA FORET MCCCCLXXXVIII" ("Arte, volesse il cielo che tu potessi rappresentare il comportamento e l'animo, non ci sarebbe in terra tavola più bella. 1488") celebrando la cultura umanista della famiglia Tornabuoni.

Tuttavia le due rappresentazioni sono legate dalla particolari motivazione intrinseca alla loro produzione:  entrambe sono state fatte dopo la morte delle due giovani donne, quasi a voler etrnare la loro presenza terrena.
Questo elemento aiuta meglio a comprendere alcuni elementi delle opere come ad esempio il verbo al passato nella iscrizione di Battista o l'eccessivo pallore che richiama la perfezione angelica.
In Giovanna è particolarmente suggestivo il fatto che gli strumenti di preghiera siano dietro alle sue spalle, in particolare il libro d'ore chiuso evoca la fine, una vicenda che non continua, l'ultima parola della sua breve vicenda umana.

(in ricordo della preside Maria Capone, che ci ha lasciato tragicamente in "una bella giornata di sole", il 1 marzo 2013)

Opere trattate:

  • Piero della Francesca, Dittico degli Uffizi, 1465-72, olio su tavola, ciascuna tavola cm 47x 33, Firenze, Galleria degli Uffizi
  • Domenico Ghirlandaio, Visitazione (dalle storie di San giovanni Battista, 1486-90, Affresco, Cappella Tornabuoni, Firenze, Santa Maria Novella.
  • Domenico Ghirlandaio, Ritratto di Giovanna degli Albizi Tornabuoni, 1489-90, tecnica mista e olio su legno di pioppo, cm 77 x 49, Madrid, Museo Thyssen Bornemizsa.


2 commenti:

  1. È il testo di una lezione che hai fatto? Fortunati i tuoi studenti, prof!

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  2. Non proprio, cioè è diventata anche lezione ma tutto è iniziato sulle bacheche del vituperato Facebook. Qui alcuni amici e colleghi hanno postato questa immagine che ha riscosso interesse ed attenzione. Poi la storia restava a languire... un triste destino ha voluto che le lezioni scolastiche su Giovanna Tornabuoni coincidessero con un tragico incidente che ha portato via per sempre una donna eccezionale: mamma prof e poi preside. Quindi ho deciso di fermare tutto per ricordare che la bellezza del cuore lascia un piccolo segno di eternità imperitura... Grazie.

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